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La food valley del Piemonte ha allungato la vita del Buondì

di Marco Ferrando

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20 gennaio 2010

All'assalto dei mercati esteri con la merendina più antica d'Italia. Ce l'ha quasi fatta Renato Viale, patron della casalese Bistefani, che da quando - era la fine del 2001 - ha acquistato la Nuova Forneria, ha maturato un sogno: allungare la vita del mitico Buondì, per poterlo vendere anche all'estero. Sì, perché i quattro mesi di "preferibilità" attuale della merendina consentono al massimo di arrivare ai confini del paese, ma non di varcarli: basterebbero 60 giorni in più, sa bene Viale, e la rete di vendita si potrebbe allungare in Francia, Germania e addirittura oltre Manica.
Sul progetto il consigliere d'amministrazione dell'azienda nata negli anni 50 cavalcando i krumiri ci ha lavorato per anni: prima ha concentrato la produzione del Buondì nello stabilimento casalese, poi ha investito sull'immagine e quindi sulla produzione, ma alla fine l'elisir di lunga vita della brioche con oltre mezzo secolo di vita l'ha trovato dentro la filiera dei suoi fornitori abituali. «È qui - racconta Viale - che si nascondono gli ingredienti e le tecnologie capaci di rendere più morbida e resistente la merendina, e addirittura di migliorarne la valenza nutrizionale». Risultato: oggi Buondì-Bistefani è capofila di un progetto di ricerca applicata per nuovi prodotti da forno che vede protagoniste altre 10 aziende del distretto agroalimentare piemontese e tre dipartimenti delle università di Torino e del Piemonte orientale; tempo un paio d'anni e il gruppo che sforna mille Buondì al minuto potrà contare su un prodotto da esportazione e, se tutto va bene, anche su una nuova linea di pane capace di associare la durata al sapore e la fragranza del prodotto di panificio.
È così che dopo le tradizioni, nella regione dove ha mosso i primi passi Slow food l'agroalimentare sta scoprendo anche l'innovazione, l'innovazione geniale di prodotto e quella più tecnologica di processo. Merito di una rete che conta 7.800 aziende - più della metà distribuite nella Food Valley che da Cuneo si allunga fino alle porte di Torino - e fattura ogni anno oltre tre miliardi di euro: unico settore indenne dalla crisi (la capacità produttiva, segnala Confindustria Piemonte, è al 72%, contro una media di poco superiore al 50), proprio mentre intorno la tempesta imperversava l'agroalimentare ha iniziato a considerarsi filiera e fare sinergia. A dare l'imbeccata è stata la regione, che nei mesi scorsi ha deciso di mettere sul piatto 20 milioni di contributi comunitari per progetti di ricerca: una ventina i dossier presentati, sei dei quali sono stati ammessi alla fase finale, tuttora in corso.
L'assegnazione dei fondi verrà determinata nelle prossime settimane, ma tutti i programmi rappresentano interessanti esempi di sinergie tra Pmi, grandi gruppi e centri di ricerca. A fare buona compagnia a Buondì-Bistefani ci sono altre multinazionali del calibro di Ferrero e Lavazza, che dopo aver iniziato a collaborare in occasione di Industria 2015 sul tema dell'eco-packaging (tra gli obiettivi, c'è anche la cialda biodegradabile) hanno unito le forze per due diversi progetti della piattaforma regionale.
Il primo, coordinato da Lavazza, punta a realizzare nuove tecnologie per la qualità e la sicurezza degli alimenti. L'altro - targato Ferrero - guarda invece al risparmio energetico e alla sostenibilità ambientale: dal latte alle nocciole, nei mesi scorsi la multinazionale della Nutella ha fatto sedere intorno al tavolo i principali fornitori e adesso l'obiettivo per tutti è quello di tagliare del 10% l'energia necessaria a confezionare prodotti simbolo come il cioccolatino Rocher, «con evidenti ricadute - fanno notare da Alba - sul fronte dell'inquinamento e della riduzione degli scarti». Ma anche dell'immagine. Perché, si sa, i consumatori apprezzano ciò che è tipico e sostenibile.
«Siamo alla svolta – dice l'assessore regionale a Industria e ricerca, Andrea Bairati – L'agroalimentare, un settore storicamente poco abituato a beneficiare di investimenti di filiera sul fronte dell'innovazione, ha mostrato una capacità progettuale assolutamente fuori dal comune. Adesso, per tutti la sfida è quella di trasformarla in vantaggio competitivo, arrivando in fretta sul mercato». Una missione impossibile? «Ce la possiamo fare», assicura Lodovica Gullino dell'università di Torino. Direttrice di Agroinnova, task force per l'innovazione in campo agro-ambientale dell'ateneo subalpino, è capofila del progetto che forse più di tutti sintetizza la nuova mentalità collaborativa che si sta affermando dentro al variegato mondo dell'agroalimentare piemontese: nella compagine del progetto Safe food control ci sono le conserve dell'astigiana Saclà e la Centrale del latte di Torino con le sue insalate prelavate, gli antipasti d'autore di Galfré (Barge, nel Cuneese), i preparati per pasticceria dell'acquese Giuso e i 200 imprenditori ortofrutticoli che fanno riferimento al gruppo Lagnasco.
Dodici soggetti in tutto, accomunati dall'ambizione di lanciare nuove linee per la "quarta gamma", i prodotti ortofrutticoli pronti per il consumo: dal succo d'uva alla spremuta d'albicocche, dalle insalate a chilometri zero al basilico certificato, «ci sono tutte le premesse per sfornare prodotti nuovi, tracciati dal campo alla tavola, sfruttando le tipicità locali». spiega Gullino. E riducendo il ricorso a materie prime che spesso, oggi, arrivano da lontano, facendo impennare tempi, prezzi e - non ultimo - le emissioni di CO2: «Diverse aziende ci hanno manifestato il disagio, e i costi, collegati al reperimento di forniture da altre regioni, o addirittura dall'estero. Per questo il nostro obiettivo è duplice: non solo accorciare, ma anche fare efficienza all'interno della filiera».

20 gennaio 2010
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